Storia strampalata di un ‘granchio decoratore’

Esistono in natura magnifici granchi con la bizzarra abitudine di decorarsi zampe e esoscheletro (il guscio) con ciò che trovano in mare; e a seconda dei mari in cui si trovano. Un giorno giuro di averne pure visto uno che tra le varie altre cose si era agghindato con una linguetta per lattine da birra, che sicuramente a suo intuito gli conferiva un aspetto ‘brillante’…  di una tenerezza infinita ai miei occhi.

 

Ebbene un giorno, da buona pescatrice che si imbatte in ogni tipo di specie, ho incontrato un magnifico granchio decoratore intento appunto alla sua mansione principale (oltre quella ordinaria di procurarsi cibo).

Era grande quel granchio…..ed era davvero uno spettacolo a guardarsi.

Ricordo di aver avvertito chiaramente i suoi occhi incontrarsi coi miei, e di avermi questi sorriso per ringraziarmi dell’attenzione che gli rivolgevo.

La cosa curiosa fu che quando restituii il sorriso….e lo salutai….. immediatamente si rintanò tra gli scogli.

Ne chiesi dunque il motivo (l’empatia permette magnifici dialoghi) … ed egli rispose:

 

“Io non sono abituato a un riscontro. Da lunghi anni abbellisco me stesso in ogni maniera per questa femmina della mia specie che mi sta davanti….e lei, dignitosa e composta, mi risponde al massimo con un movimento leggero, facendo ondulare gli spirografi che le decorano il capo. Tu parli invece…ti muovi…e ciò mi turba perché sono abituato al silenzio e a non più di un movimento d’acqua”

 

Guardai verso la direzione che mi indicava con la chela … e vidi un groviglio di ferro depositato sul fondo, che col tempo si era concrezionato pure lui, ospitando innumerevoli forme di vita vegetale e animale, custodendo e crescendo tra le sue spire piccoli pesci, meravigliosi anemoni di mare, coralli. Era diventato maestoso, bellissimo…

In effetti non c’è niente di più affascinante, pensai, di un inerte che prende (nuova) forma e vita.

 

Capii che era inutile disilludere il mio nuovo amico, e così tornai e ritornai ancora ad osservarlo ma silenziosamente, per diversi giorni, mentre imperterrito continuava a rendersi comparabile a quella magnifica creatura da cui non riusciva a staccarsi, e ogni volta che mi vedeva sbucare, immediatamente ormai… spariva tra le rocce.

 

Aveva bisogno di assecondare il suo sogno, e di essere lasciato in pace.

E così dopo un accenno di saluto per fargli comprendere che poteva rilassarsi e che andavo, lo lasciai al suo mondo incantato.

La verità è che avevo per un attimo istigato un sorriso in chi non desiderava riceverne alcuno.

La sensazione, nel suo non detto, era di uno sdegnoso  “tu mi stai irridendo”,

in risposta  alla mia ‘eccessiva’ allegra attenzione.

 

Ma non era così … mi rideva il cuore per lui, anima bella.

Ale
Che dire, se negli anni ’70, d’estate, qualcuno vedeva una bimba solitaria con cappellino marinaro seduta sul bordo di un vecchio pontile di legno presso l’Arenella di Portovenere, con una lenza in mano, ero io. Non ricordo quando ho cominciato, ma a 7 anni per certo inseguivo babbo sott’acqua, lui a pesca col fucile, io dietro col retino imperterritamente convinta di riuscirvi anche così. Ormai è storia (vecchia) che in assenza di lenza e retino mi arrangiavo pescando piccole bavose di scoglio anche col sacchetto del bondì, doverosamente divorato prima. Per molti anni ho rilasciato tutte le prede, poi sono diventata ‘cattiva’ quando le dimensioni loro e mie sono aumentate. Ho avuto pochi ma magnifici maestri, che, bontà loro, mi portano appresso: pare io porti bene. Prediligo la pesca col vivo in mare, a bolentino traina e scarroccio; per poco (anno con ghiaccio sottile) mi è sfuggita la pesca nei laghi del Nord, ma ‘ce l’ho qui’...devo ritentare. Non amo descrivere tecniche (che lascio agli esperti) ma sensazioni. Per il resto sono archeologa.

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