Un’antica (e quasi perduta) tecnica di pesca col vivo

Dalla vicina ed amica Sardegna una figlia della costa degli elfi….

[pullquote_left]Contributo di Alessandra La Fragola[/pullquote_left]

…Cresciuta da pescatori d’antan, da sempre prediligo la pesca col vivo. Forse perché mi piace ‘sporcarmi le mani’, forse perché la trovo a suo modo più “difficile” e ovviamente antica, e per come sono io è ovvio che prevalga questo fattore.

Non ho intenzione di raccontare nei particolari una battuta di pesca; forse in quanto donna,  forse semplicemente perché amo le sfumature delle cose e non la precisione dei dettagli; preferisco descrivere ‘sensazioni’ e cercare di trasmetterle, per avvicinare a questa bellissima tecnica chi immagina la pesca come qualcosa di noioso e ripetitivo.

Parlerò dunque di uno dei miei pesci preferiti: l’orata.

 L’orata, si sa,  viene presa anche con gli artificiali, ma a mio sentire non vi è niente di più bello della lotta con l’orata a granchio o a cozza chiusa, possibilmente su bassi fondali (in questo caso 30mt. circa).Ora come molti sapranno c’è una stagione in cui l’orata impazzisce per i granchi ed un’altra in cui non li sfiora nemmeno e si avventa sulle cozze. E viceversa.Ebbene nell’antica tecnica non a tutti nota della pesca con cozza innescata col guscio, legata e aperta solo sul fondo…fondamentale è il rito di preparazione dell’innesco (facile sbagliare, facile perdere il muscolo immediatamente e dover subito ricominciare). Si tratta di una procedura semplice ma che allo stesso tempo va imparata bene, ed è bellissimo guardare mentre viene effettuata e farlo a nostra volta.Da questo momento, quando si sta per calare, l’adrenalina comincia a entrare in circolo per la consapevolezza che da lì, da quando il muscolo entra in acqua, deve “respirare bene” tramite la piccola ma precisa scheggiatura che abbiamo effettuato sul guscio, in sintesi deve essere stato preparato nella maniera giusta per tagliare l’acqua e immergervisi in velocità; i pescetti …la mangianza, sono infatti all’erta a profondità minori (e talvolta anche sul fondo, se manca il predatore appunto) e rappresentano il primo ostacolo se l’esca non è ben chiusa. Dopo di che, arrivata sul fondo, fondamentale è la velocità con cui si tira su di qualche palmo la lenza, giusto il calcolo mentale della lunghezza con cui è stata avvolta al guscio e…sensazione meravigliosa…a quel punto si effettua un piccolo tocco di polso per far sì che la lenza, appena ‘annodata’,  si srotoli e permetta alla cozza di aprirsi solo laggiù dove vogliamo, cioè dove stanzia il predatore. E’ come vederla. La sensibilità della mano con cui si tiene la lenza permette di sentire tutto…se la cozza si srotola..si apre.. si slama o se viene subito afferrata.Se vi sono correnti in profondità ovviamente non si sente quasi nulla, per questo è una pesca da effettuare su bassi fondali, anche meno di 30mt. possibilmente. E se necessario si aggiunge un piccolo piombo sopra l’esca per renderla più stabile.

Perché l’orata, se c’è, di norma è voracissima, ma mai ferrarla subito. Si tratta infatti di un meraviglioso pesce guardingo che prima ‘saggia’ la preda , 2-3- morsi, poi la ingoia. Ed è quello il momento in cui si deve agire. Ovviamente non finisce qui, perché da questo momento, soprattutto con orate dignitosamente grandi, comincia una battaglia in cui la lenza non va mai lasciata incautamente ‘morta’:  l’orata non solo tira come una dannata, ma spesso torna indietro e se trova spazio si slama facilmente. Questo succede anche perché avendo un palato molto duro spesso rimane agganciata solo per il labbro (cd. ‘erfo’ da alcuni pescatori), che sovente, purtroppo, si strappa.

Il battesimo del pescatore (quello di vecchio stampo almeno), è avere  sulle dita i dolorosissimi tagli dovuti alla battaglia col pesce mentre si effettua bolentino senza canna a esca viva.

Questo tipo di pesca diciamo che è adatta a chi rispetta maggiormente il mare e chi lo abita, perché non solo è più complicata e lunga, ma concede pure una battaglia più equa. Ma su questo possiamo discuterne.

Ale
Che dire, se negli anni ’70, d’estate, qualcuno vedeva una bimba solitaria con cappellino marinaro seduta sul bordo di un vecchio pontile di legno presso l’Arenella di Portovenere, con una lenza in mano, ero io. Non ricordo quando ho cominciato, ma a 7 anni per certo inseguivo babbo sott’acqua, lui a pesca col fucile, io dietro col retino imperterritamente convinta di riuscirvi anche così. Ormai è storia (vecchia) che in assenza di lenza e retino mi arrangiavo pescando piccole bavose di scoglio anche col sacchetto del bondì, doverosamente divorato prima. Per molti anni ho rilasciato tutte le prede, poi sono diventata ‘cattiva’ quando le dimensioni loro e mie sono aumentate. Ho avuto pochi ma magnifici maestri, che, bontà loro, mi portano appresso: pare io porti bene. Prediligo la pesca col vivo in mare, a bolentino traina e scarroccio; per poco (anno con ghiaccio sottile) mi è sfuggita la pesca nei laghi del Nord, ma ‘ce l’ho qui’...devo ritentare. Non amo descrivere tecniche (che lascio agli esperti) ma sensazioni. Per il resto sono archeologa.

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