Tocca(ta) e fuga nel Maelström

Vi sono cuori dai diversi portati.

Cuore di pesce (il filetto pregiato)… cuore di cane…

Cuori più profondi o più maldestri di altri. Più aridi, più gonfi.

E vi sono cuori che arrivano sino al maelström delle cose, che vi si lasciano scivolare dentro anche solo per provare a se stessi che c’è un ritorno, un senso. Anche se poi questo senso non c’è e non tornano per raccontarlo.

 

E poi vi sono cuori in ascolto. Quelli curiosi comunque di affacciarsi al maelström di altri per poterne studiare la forma,  la potenza, e il vortice che li compone.

 

Cosa fa un pescatore quando si trova malcapitatamente vicino a queste rotte… ?

‘Fuggi, sciocco!’ Direbbe Gandalf.

E i più così fanno, ma talvolta i loro cuori li spingono ineluttabilmente nel gorgo attratti come magneti dalla parte più buia del proprio io.

 

Ma così non si pesca!

E allora animo balordi, colpo di reni e remiamo indietro a ritrovare la rotta, lasciando a quel vortice pesci e pescatori randagi che già si sentono morti, incapaci di affrontare con sfida un destino che non per forza è scritto, e che spesso dipende dalla nostra abilità e caparbietà nel saper creare l’innesco perfetto, la misura nella lenza e l’equilibrio nel calibrare il piombo al punto giusto (mai troppo pesante… il piombo inquina l’acqua e appesantisce pure la nostra anima), in modo che ciò che abbiamo creato ondeggi senza essere portato via dalla forza del mare.

 

Che ondeggi  dunque, con la dovuta naturalezza, con levitas… come si richiede alla vita. Con quell’abilità che permetta alla preda di abboccare, e a noi… di ferrarla, di sopravvivere. Perché quando guardiamo il profondo… già si sa… il profondo guarda noi.

Siamo come il polpo che si attacca alla roccia e fiero si oppone all’impeto del mare.

 

La pesca è una sfida irrinunciabile. Come un maelström, come la vita.

 

Ale
Che dire, se negli anni ’70, d’estate, qualcuno vedeva una bimba solitaria con cappellino marinaro seduta sul bordo di un vecchio pontile di legno presso l’Arenella di Portovenere, con una lenza in mano, ero io. Non ricordo quando ho cominciato, ma a 7 anni per certo inseguivo babbo sott’acqua, lui a pesca col fucile, io dietro col retino imperterritamente convinta di riuscirvi anche così. Ormai è storia (vecchia) che in assenza di lenza e retino mi arrangiavo pescando piccole bavose di scoglio anche col sacchetto del bondì, doverosamente divorato prima. Per molti anni ho rilasciato tutte le prede, poi sono diventata ‘cattiva’ quando le dimensioni loro e mie sono aumentate. Ho avuto pochi ma magnifici maestri, che, bontà loro, mi portano appresso: pare io porti bene. Prediligo la pesca col vivo in mare, a bolentino traina e scarroccio; per poco (anno con ghiaccio sottile) mi è sfuggita la pesca nei laghi del Nord, ma ‘ce l’ho qui’...devo ritentare. Non amo descrivere tecniche (che lascio agli esperti) ma sensazioni. Per il resto sono archeologa.

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