Prrrrrrrrrredatori (In to the deep)

predatori

“Quando si assaggia un altro predatore è un punto di non ritorno”.

“Nemesi”.

Partendo da questa acuta e sintetica riflessione di un caro amico, ho ricominciato a capire tanto. Di me.

 

Ogni essere umano nella vita fa prima o poi i conti con i propri demoni. Quando ti capitano quelli cattivi è un po’ come quando sei a pesca e ti accorgi che uno squalo sta cercando di pescare te. Non te l’aspetti perché sei lì a puntare i tuoi pescetti…. facili prede tutto sommato. Poi c’è quella volta che un tonno ti da battaglia e vinci, e la volta che invece lo perdi. Scaramucce, piccoli confronti.

Hemingway ci narra di una battaglia tra lui e un Marlin. La battaglia che è il significato di una vita. Persa da entrambi.

Melville ci fa fare i conti con Acab e la sua ‘balena’ bianca, anzi li fa fare a lui ed è qui che si incarna perfettamente l’essenza dell’ ”altro io”, demone  che porta all’eterna lotta. Come Gandalf e la sua divinità oscura al centro della terra. Come Ulisse che scende negli inferi ed è l’unico viaggio di cui ha veramente paura.

C’è chi torna, e chi no.

 

Io sono una predatrice, su questo non c’è dubbio. Poca indulgenza, capace di uccidere la mia preda se vedo che soffre (perché l’ho comunque tirata su, beninteso), o di lasciarla lentamente morire mentre l’adrenalina sale ed io sono concentrata a pescarne altre. A prescindere dalla pesca so di avere dentro me la capacità di terminare chi ho di fronte. Se questo ‘di fronte’ soffre e non ho il potere medico per salvargli la vita nel tempo breve eppure lunghissimo in cui agonizza. Non sto lì a piangere, affondo. Perché il mio pianto non potrà essergli di conforto. Attaccarsi ai sani principi morali del buonismo immanente libera semplicemente noi dalle responsabilità e lega chi soffre a qualcosa di indicibilmente cattivo.

 

Una volta ho assistito da lontano alla cattura di un grande polpo, una scena che sarebbe stata fantozziana per le innumerevoli volte in cui il polpo in barca rinveniva, e il pescatore giù ad afferrarlo e farsi afferrare, e a dargli botte da orbi. Ricordo di avergli gridato “E uccidilo accidenti a te!  Basta anche solo rivoltargli la testa!”.

Io non uccido polpi (e questo è un altro discorso), ma so fermamente che se volessi catturarne uno non permetterei alle mie paure di non concedergli subito una fine dignitosa… i polpi sono gran combattenti, creature fantastiche. Non per niente in antico la loro combattività gli aveva permesso di fregiarsi della valenza del male, incarnato poi nel Kraken. Perché nelle menti umane tutto ciò che è più ‘grande’ di loro è identificato ed esorcizzato come il male, l’oscuro.

 

Ma se arriva il giorno in cui incontri l’altro predatore, quel giorno in cui l’assaggi e lui assaggia te… (nel senso che avviene il confronto diretto, il dialogo di cui tante volte ho parlato tra queste pagine web) …scopri finalmente  quanto diverso sia da tutto ciò che fino a quel momento avevi vissuto.

 

I demoni ci attirano come ci attirano le nostre paure, e più battaglie abbiamo vinto più ci crediamo forti e ne cerchiamo sempre di più cattivi, e più grandi.

Mangiare le nostre prede è in fondo una compensazione metaforica dalla doppia valenza: “Ti mangio e acquisto forza per il prossimo incontro”; “Ti mangio per onorarti, in modo che la tua morte non sia stata vana”.  In sociologia credo verrebbe interpretato come la chiave moderna di compensazione dell’uomo che mangia l’uomo, il proprio avversario. Il cannibale che stempera l’orrore della vittoria su un suo pari mangiando non più l’uomo ma altre specie (che diventano simbolo, offerta). Prima grandi e pericolose (orsi, bufali, leoni), poi sempre più piccole (pesci). E addomesticando la bestia che è in lui si crede inversamente sempre più grande.

 

Da parte mai ho già incontrato il mio demone, quello più nero. Convinta di esser la più grande non son comunque fuggita pur avendone atavica paura. Il mio Kraken.

 

Mutaforma dalle capacità mimetiche, eterno inganno.

Vedevo un mostro, preparavo l’arpione e diventava un padre, mi sentivo al sicuro e ora era un figlio, correvo a proteggerlo, e mi stritolava. E allora ecco la sfida … il sorriso (mio) che si fa beffardo…:

”Sei subdolo…? Ok… divento feroce” e colpisco più a fondo.

Solo così poteva portarmi a ferirlo, perché io altrimenti non colpisco ‘polpi’. Anni così, di eterna lotta.

Poi è tornato nel profondo. E non sto parlando di un’ombra, era in carne e cartilagine.

L’ho combattuto e ne sono uscita sconfitta.

 

La forza di una persona, la vera forza, io credo, si misura nel coraggio di saper ammettere anche questo: ‘ho perduto’, ‘sono perduta’.

Ne sono uscita decisamente malconcia e notevolmente più vecchia..schiena a pezzi, setto nasale deviato, timpano perforato e cuore ballerino. Ma ne valeva la pena…. lo HO reso un punto di non ritorno, indimenticabile vissuto.

 

E poi io amo i polpi, e quindi giusto un Kraken poteva battermi… Specchio deforme di me, amore e paura.

Mentre lo squalo è squalo, dal primo all’ultimo morso. Forza pura, battibile.

Ma il Kraken sì, poteva. Lui ha cervello e (quindi) non ama il genere umano, non ama nessuno.

E’ forza, astuzia e istinto. Creatura eternamente incompresa.

 

E così uso la stessa filosofia della volpe con l’uva: “Troppo grande e troppo nero per combattere lontanamente alla pari con me, per questo mi ha battuta”.

Con onore però!

Perché dalle batoste che ho preso e dalle cicatrici rimaste so per certo di non avergli mai fatto pena.

Il segreto è saper riportare ogni cosa alla giusta dimensione, lui compreso; per cui ora lo misuro sul pollice, come da foto.

 

Verranno tanti altri mostri a stanare la mia voglia di sfida, e ricascherò nell’ingaggio mentre tranquilla parlotto con i miei pesciolini.

Ma non riusciranno a stanarmi meno che squali e mostri abissali.

Non combatto per niente di meno ora che ho assaggiato il tentacolo del mio miglior avversario, tutto il resto è buono, da zuppa.

 

Ma è anche vero che ho imparato a misurare la sfida: i mostri vengono richiamati dal profondo delle nostre stesse paure. Alcuni di noi scappano e altri, come io ho fatto, rinsaldano la posizione e li affrontano, ma  credo di aver  imparato a non richiamarli più.

Quelli che verranno verranno da soli e solo uno potrà portarmi via. Non prima, comunque, che io abbia provato a distrarlo in una partita a scacchi o più probabilmente un ‘ballo tondo’.

Non prima di avere davvero perduto.

 

(Ma poi… avrò davvero perduto?)

Sfide!  😉

 

[nella foto, vero avannotto di Kraken]

 

Ale
Che dire, se negli anni ’70, d’estate, qualcuno vedeva una bimba solitaria con cappellino marinaro seduta sul bordo di un vecchio pontile di legno presso l’Arenella di Portovenere, con una lenza in mano, ero io. Non ricordo quando ho cominciato, ma a 7 anni per certo inseguivo babbo sott’acqua, lui a pesca col fucile, io dietro col retino imperterritamente convinta di riuscirvi anche così. Ormai è storia (vecchia) che in assenza di lenza e retino mi arrangiavo pescando piccole bavose di scoglio anche col sacchetto del bondì, doverosamente divorato prima. Per molti anni ho rilasciato tutte le prede, poi sono diventata ‘cattiva’ quando le dimensioni loro e mie sono aumentate. Ho avuto pochi ma magnifici maestri, che, bontà loro, mi portano appresso: pare io porti bene. Prediligo la pesca col vivo in mare, a bolentino traina e scarroccio; per poco (anno con ghiaccio sottile) mi è sfuggita la pesca nei laghi del Nord, ma ‘ce l’ho qui’...devo ritentare. Non amo descrivere tecniche (che lascio agli esperti) ma sensazioni. Per il resto sono archeologa.

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