Anima mundi

C’è un poggio con una storia da raccontare.
Credo nel respiro della terra, nell’ovvio morire e rigenerarsi di ogni cosa.

Quindi dopo aver conosciuto il poggio e il suo strano modo di rapportarsi col resto della materia vivente, ho avuto ben chiaro che vi sono luoghi che assorbono umori ed emozioni, e che, talvolta nauseati, li risputacchiano per disintossicarsene poi in qualche maniera. Non prima però di aver potuto evitare di avvelenarcisi un poco.

Questo montarozzo, di consistenza prevalentemente rocciosa, insisteva su una più ampia collina, occupandone un tratto a ridosso del mare. Era la dimora di un pescatore.
Una bella casa in pietra poggiava su quella roccia. Un edificio a più abitazioni, suddiviso in lotti a sporgenze e rientranze, su diversi versanti; mentre un’altra casa, poco più in basso, lo chiudeva a delimitarne la superficie.
La prima volta che vi misi piede era abitato solo dalla piccola famiglia del pescatore e da un’altra, più numerosa, nella casa più in basso.
Un uomo solitario era appena morto nella porzione occidentale dell’edificio, e così a parte il pescatore, al sommo del poggio non abitava nessuno.
Quel luogo era bello, e tutto allora in esso mi parve semplicemente ‘normale’.
Nel giro di alcuni anni un avvicendarsi di eventi: lavorando quella stessa poca terra si spenge il più forte e attivo della casa adiacente; al pescatore (la cui famiglia intanto parzialmente si sgretola) si aggiungono accanto un poliziotto e un tipaccio con donna/badante, e così mentre gradatamente il poggio perde elementi, si rianima con sangue nuovo: il poliziotto trova una compagna, nasce nuova vita.

Un giorno il pescatore torna ubriacardo (al solito) da un ritrovo di amici, si addormenta alla guida. Non subito, alla fine, in entrata al versante. Distrugge l’auto che si rovescia: illeso.
Pensai: “… vecchio tanto cattivo che anche il suo poggio lo ferma e non lo vuole, cercando di rigettarlo fuori…..”.
Forse solo un monito, lo salva.
‘L’erba cattiva non muore mai’ fu l’ovvio pensiero aggiunto. Che mi rende però felice.
Passa ancora qualche tempo e se ne va, su strada, il giovane poliziotto divenuto da pochi mesi padre. Nel frattempo il tipaccio viene lasciato dalla badante e finisce in galera per aver rubato nella contigua casa del pescatore.

Una cosa ricordo: la figlia del pescatore non amava quel luogo, le metteva paura.
Ed io invece, ogni volta che guardo o penso a quel poggio, ora di nuovo quasi del tutto disabitato se non da quel vecchio pescatore ancora arroccato sulla vetta… sorrido. Perché a me quel poggio non ha mai fatto del male, accettando quasi rassegnatamente la mia presenza ogni volta che gli è capitata (tranne una, quando mi ha intossicata coi suoi funghi assicurati per buoni). Ho voluto bene a quel luogo, curato e amato ogni volta che ne ho avuto occasione. Ma ogni stagione ho avvertito l’insofferenza che aveva verso chi lo abitava, e non posso fare a meno di notare che le persone buone che lo hanno vissuto son tutte morte nel giro di pochi anni, le cattive solo parzialmente allontanate, permettendo da decenni la permanenza continua solo al pescatore, unico suo vero ‘padrone’.

E così osservo che a forza di respirare la presenza del vecchio balordo il poggio ha dato di testa pure lui e sembra attirare personaggi un po’ persi per poi respingerli a suo modo in diversa maniera.

Ora io non credo a un ‘profilo’ di poggio pensante, ma credo nella forza degli elementi naturali che lo abitano…alberi, rocce, animali (gli unici animali che vi ho mai incontrato, a parte qualche cane randagio di passaggio, sono stati solo serpenti).

Credo nel magnetismo e nel respiro della terra, che certe volte si avvelena degli animi umani tanto da impazzirne.

Quel povero poggio, bieco e incattivito dagli animi forti e neri di coloro che nel tempo lo hanno abitato, mi intenerisce, e forse per questo quando mi chiama senza (ancora) farmi del male, io rispondo.
E quando guardo o percorro il suo ampio vòlto non mi prende paura ma un sorriso. Vedo passarvi le brave persone che vi hanno vissuto e che a lungo si sono trattenute in esso in conversazione.
E penso che in fondo voleva solo tenerle con se.

Ho raccontato questa storia a un amico, che ha espresso a mio parere la considerazione più bella: ‘si dovrebbe far l’amore in quel luogo’.
Sì, forse solo un bisogno di amore.

(in foto: Emilio Sánchez Perrier – Triana, 1889. Particolare)

Ale
Che dire, se negli anni ’70, d’estate, qualcuno vedeva una bimba solitaria con cappellino marinaro seduta sul bordo di un vecchio pontile di legno presso l’Arenella di Portovenere, con una lenza in mano, ero io. Non ricordo quando ho cominciato, ma a 7 anni per certo inseguivo babbo sott’acqua, lui a pesca col fucile, io dietro col retino imperterritamente convinta di riuscirvi anche così. Ormai è storia (vecchia) che in assenza di lenza e retino mi arrangiavo pescando piccole bavose di scoglio anche col sacchetto del bondì, doverosamente divorato prima. Per molti anni ho rilasciato tutte le prede, poi sono diventata ‘cattiva’ quando le dimensioni loro e mie sono aumentate. Ho avuto pochi ma magnifici maestri, che, bontà loro, mi portano appresso: pare io porti bene. Prediligo la pesca col vivo in mare, a bolentino traina e scarroccio; per poco (anno con ghiaccio sottile) mi è sfuggita la pesca nei laghi del Nord, ma ‘ce l’ho qui’...devo ritentare. Non amo descrivere tecniche (che lascio agli esperti) ma sensazioni. Per il resto sono archeologa.

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