Mani di mare

E così quelle mani…. mondo di significati senza parole.
Mani che tolgono vita…. regalando cibo ad altri, da quella vita andata.
E l’acqua…. che scorre tra preda e uomo come a lavare, nell’immediato, l’atto di una privazione che non può essere resa. Una vita a scorrere…. via… lontano, insieme all’elemento in cui nata e cresciuta, e che di nuovo l’abbraccia.

Tra i tanti significati estraibili da questo fermo-immagine meraviglioso vi è il colore privato, che scivola uniforme tra uomo animale ed elemento, in un tutt’uno che poi altro non è che la natura, di cui ogni cosa è parte.

Quelle mani….
Senso di potere e capacità nel non avere rimpianti.
Con tentacoli che escono dalla loro morsa come un’estensione di essa, a trasformarsi e allo stesso tempo a cercare, ancora, l’inutile aggancio alla roccia per riguadagnare il proprio elemento; forza contro forza, specie a specie, maestosità del polpo a combattere sino alla fine, maschio o femmina che sia.

Quella mano,
dai nodi anch’essi di mare, di qualcuno che li sa per certo creare e che nel suo lavoro ne assimila le forme e le modula in se, in un amalgamarsi continuo dell’uomo con ciò di cui è parte; come un pianista le cui dita lunghe e affusolate diventano materia dello strumento che usa e che ama. Materia viva.
Così come gli uomini e il mare, loro elemento, schiuma e fatica.

Come ogni cosa che meriti di essere vissuta.

E così mi piace immaginare che il padrone di quelle mani abbia ovviamente una barba, e se non ce l’ha beh…è solo peggio per lui.
E poco importa se chi scatta, talvolta, lo fa solo per il piacere di farlo in quell’istante, senza cercare nulla di più. Io ammiro comunque la sapienza dei fotografi capaci di immortalare in una sola immagine ciò che può essere aperto a un mondo di interpretazioni. Il saper suscitare emozioni.
Questo pezzo, oggi, è dedicato a tutti loro. Grazie.

(Foto: Walter Bilardi)

Ale
Che dire, se negli anni ’70, d’estate, qualcuno vedeva una bimba solitaria con cappellino marinaro seduta sul bordo di un vecchio pontile di legno presso l’Arenella di Portovenere, con una lenza in mano, ero io. Non ricordo quando ho cominciato, ma a 7 anni per certo inseguivo babbo sott’acqua, lui a pesca col fucile, io dietro col retino imperterritamente convinta di riuscirvi anche così. Ormai è storia (vecchia) che in assenza di lenza e retino mi arrangiavo pescando piccole bavose di scoglio anche col sacchetto del bondì, doverosamente divorato prima. Per molti anni ho rilasciato tutte le prede, poi sono diventata ‘cattiva’ quando le dimensioni loro e mie sono aumentate. Ho avuto pochi ma magnifici maestri, che, bontà loro, mi portano appresso: pare io porti bene. Prediligo la pesca col vivo in mare, a bolentino traina e scarroccio; per poco (anno con ghiaccio sottile) mi è sfuggita la pesca nei laghi del Nord, ma ‘ce l’ho qui’...devo ritentare. Non amo descrivere tecniche (che lascio agli esperti) ma sensazioni. Per il resto sono archeologa.

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