L’importanza di chiamarsi…Posidonia oceanica!

Dopo un periodo di lavoro lontano dalla nostra amata Riviera di Levante, rieccomi di nuovo qui a raccontarvi un po’ quella che è stata una delle avventure più belle che mi potessero capitare che mi ha impegnato al 100% negli ultimi mesi. Ma prima di raccontarvi cosa ho fatto fin’ora parliamo del soggetto principale del mio impegno: nel mare non ci sono solo alghe e pesci, esistono anche delle vere e proprie piante che differiscono dalle alghe per struttura e ciclo vitale; tutti quelli che vanno al mare ne avranno incontrate ma le avranno sicuramente etichettate come alghe, quando in realtà ci si è trovati di fronte a delle fanerogame marine, vere e proprie piante al pari di alberi e arbusti, delle quali la principale attrice è proprio lei, la Posidonia oceanica.

Questa pianta ha una storia evolutiva lunghissima ed ancora poco chiara ed è al contrario di quello che si pensa dal nome una pianta che vive esclusivamente nel Mediterraneo. Alcune ‘cugine’ come la Posidonia australis vivono qua e là nel mondo ma la P.oceanica è proprio soltanto nostra (che significa in gergo tecnico che si tratta di una specie endemica), quindi va tutelata e protetta.

E’ oggetto di studio da molto tempo, perché la sua importanza va ben oltre il fatto di essere presente solo nel Mediterraneo. Il suo habitat sul fondo del mare va dalla superficie fino ai 60-80 metri, cioè fin dove arriva luce sufficiente alla fotosintesi e si chiama profondità di compensazione, ovvero quella profondità in cui il bilancio tra energia necessaria ed energia consumata dalla pianta non raggiunge il pareggio; oltre questa soglia la Posidonia non può sopravvivere.

Dove vive la P.oceanica si viene a creare un ecosistema tra i più importanti per il nostro Mediterraneo, all’interno del quale troviamo miriadi di specie che gravitano attorno alla sua presenza: basti pensare agli organismi che vivono sulle sue foglie (gli epifiti) come piccoli idrozoi ed alghe, e secondo le catene trofiche tutti gli animali che si nutrono e scambiano energia attraverso i meccanismi che abbiamo spiegato nell’articolo sulle catene alimentari; oppure tutti gli organismi che vi depositano le uova delegando alla Posidonia il ruolo di nursery per la progenie ittica.

Dando appena un’occhiata a tutta la vita che popola le praterie di P.oceanica si intuisce quale grande importanza abbia, ma sarebbe davvero riduttivo limitarsi a questo ruolo: infatti un’altra sua grande peculiarità è nella mitigazione degli effetti erosivi sulle nostre coste! Una vera e propria barriera meccanica naturale che smorza la forza del mare attraverso il movimento delle lunghe foglie nastriformi (arrivano anche a 1 metro di lunghezza ed ogni rizoma ne può contenere fino a 8-9) e contemporaneamente accumula sabbia e sedimenti per meglio ancorarsi al fondale sul quale cresce a ritmi lentissimi. Un cespuglio di Posidonia può crescere anche il larghezza oltre che in altezza e svilupparsi relativamente anche su fondali rocciosi a patto che ci sia comunque una discreta quantità di sabbia, ecco che al suo interno è possibile rinvenire oggetti inglobati nei secoli da una prateria: non è difficile trovarvi resti di anfore romane o fasciame di barche attorno a cui le radici hanno stretto una morsa col passare del tempo, proprio come fanno le piante terrestri. Questo intreccio complicato viene chiamato ‘matte’ ed è anch’esso un habitat importantissimo per molti organismi che vivono nei sedimenti del fondo marino.

Le banquettes invece sono quelle piccole montagnole di foglie e rizomi strappati al mare che si formano sulle spiaggie, dove purtroppo il turismo e l’ignoranza portano all’incauta rimozione per via dell’odore che infastidice i delicati nasi dei bagnanti, perché anche dopo la vita la P.oceanica è importantissima dato che con questi accumuli impedisce l’arretramento delle spiaggie smorzando la forza dei marosi. E’ ancora possibile incontrare queste strutture nelle spiaggie isolate di tutti i nostri mari dove il turismo di massa non ha fatto sentire troppo la propria ingombrante presenza.

E alzi la mano chi di voi non ha mai preso in mano una di quelle ‘palline’ marroni sulla battigia! Quelle in realtà sono fatte della stessa materia prima delle banquettes, frutto di una paziente azione meccanica sulle foglie e i rizomi di P.oceanica; hanno un nome particolare e difficile da ricordare: le egagropili!

Tutto questo piccolo riassunto che spero non vi abbia annoiato è per spiegare l’importanza di quello che mi sono trovato a fare in un posto lontano parecchie miglia dalle nostre abituali coste assieme a moltissimi colleghi da tutta Italia.

Da molti anni l’ambiente scientifico si arrovella alla ricerca di un sistema per preservare e ricostruire una prateria di Posidonia ma fin’ora tutti i tentativi hanno portato a grandi investimenti ma risultati piuttosto scarsi. Un anno fa l’Autorità Portuale di Civitavecchia di fronte a un progetto di ampliamento dell’importante scalo si è trovata di fronte proprio una grande prateria di P.oceanica, così venne l’idea di tentare un vero e proprio trasloco di piante da un punto all’altro della costa laziale.

Dopo vari studi e lavori di monitoraggio preliminare venne pubblicato un bando, poi vinto da un consorzio di società (Nuova Indago S.r.l. – CIBM di Livorno – Elettra Impianti) che avrebbe garantito un lavoro di concerto in modo da arrivare al primo impianto al mondo di queste dimensioni e portata: trasferire 10.000 mq ed oltre 400.000 talee di P.oceanica da Punta Mattonara a Capo Linaro di Santa Marinella.

In tutto questo grande progetto sono stato solo uno delle tante braccia al lavoro su questo progetto come Operatore Scientifico Subacqueo, ma mi ha reso orgoglioso l’aver visto tutto lo sviluppo del cantiere e, confesso, un po’ di commozione nel vedere i fondali ripopolati dalla P.oceanica dove prima c’era soltanto sabbia.

Il nostro lavoro era diviso a squadre: una parte di concerto con degli Operatori Tecnici Subacquei operava di fronte al porto per espiantare la prateria; un’altra parte di noi Operatori Scientifici Subacquei lavorava a terra il raccolto preparando delle talee che sarebbero poi state reimpiantate entro brevissimo tempo nella nuova zona mentre un’altra squadra di OTS preparava delle strutture fisse in grado di sostenere ogni talea e dar modo alla pianta di sviluppare nuovamente radici e quindi attecchire sui nuovi fondali.

Un lavoro di coordinamento che ha impiegato parecchie risorse umane ed economiche per le quali i primi risultati si vedranno solo tra qualche anno appena le piantine cominceranno a svilupparsi e ad accrescere come una nuova prateria, proteggendo un tratto di costa dall’erosione e favorendo lo sviluppo di nuove vite per il ripopolamento dei nostri mari.

Approfitto di un post scriptum per ringraziare tutti ma proprio tutti coloro con cui ho condiviso due mesi e mezzo di lavoro continuo e di vita in comune che mi hanno arricchito dentro: non faccio tutti i vostri nomi ma sappiate che attraverso di voi ho conosciuto nuovi mari che mai come ora ho sentito così vicini al mio.

David Pinza

David
Spezzino per diritto di nascita dal 1981, da bambino sognava di fare il pompiere…sogno perso per strada. Diplomato (con fatica) al liceo, decide durante un ferragosto con i piedi in acqua di iscriversi all’università all’indirizzo marino del corso di Scienze e Tecnologie per l’Ambiente dell’Università di Pisa, più che altro per avere una scusa per potersi brevettare come sommozzatore. Da allora con l’acqua di mare nelle orecchie cerca di avvicendarsi in mille specializzazioni e corsi uscendone prima come tecnico dell’ambiente subaqueo e poi come operatore scientifico subacqueo. Amante della fotografia, è stato recentemente impegnato in un progetto guida per il trapianto di Posidonia oceanica lungo le coste laziali, ma segue l’avventura di elfishing da sotto la superficie marina per colpa del Peve…”

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