L’importanza di chiamarsi Faro

C’è un faro, volendo, per ognuno di noi. Una sorta di ultima spiaggia in cui il nostro cuore si rifugia quando il pensiero va affondando e  involontariamente si lascia catturare dal profondo dell’acqua, e vi si immerge, senza rumore, inosservato. Inghiottito, come in un oceano di pece.

E ci sono le mine navali.

Quelle che nel nostro animo talvolta costellano il mare.

Nei miei flashback, quando osservo il mare talvolta mi vedo su di un gozzo in cui remo insieme a miei compagni (l’elfishing team ;-)), nel silenzio della notte.

Remiamo…. giusto la percezione del taglio sottile dell’acqua…..un mulinello…. e poi una bava d’onda a seguire. E la meraviglia è remare tra queste mine che mostrano i respingenti esplosivi come aculei da tenere a bada. Eppure amo questa navigazione. Perché quelle mine cupe e simili a grossi ricci di mare galleggiano quasi ignare del loro portato, inconsapevoli del male che possono causare. Sono state create così…a loro insaputa. E infatti se nel sogno la  barca fa acqua e nuoti finché non sei sfinito loro son sempre lì, stupiTamente a dirti…. perché non ti aggrappi?

E così, alla fine tu cedi e con la massima cautela punti i piedi sui respingenti e l’abbracci. In fondo non sono state create per te…. la tensione che possono sopportare su ogni singolo ‘aculeo’ è ben maggiore del peso di un essere umano.

Ma talvolta qualcuna è più vecchia, più stanca. E da più, troppo tempo, sopporta le forze del mare. O forse è solo maggiormente incattivita da quel suo lungo vagare senza meta. Scricchiola…. ti avverte.

Allora tu piano scendi e ti immergi di nuovo… lasciandola andare e quasi ti fa pena in quella sua profonda solitudine così incompresa, così involontariamente ‘cattiva’.

Ed ecco dunque quando ormai senti il sale risalire lungo le narici….. il faro.

Quante parole spese sui fari; e quello che in realtà trasmettono, e che ancora incanta, è la loro magia di saper attirare come sirene gli uomini, sempre quelli di mare. E così pare davvero che questi birboni che solcano le onde siano sempre, nonostante le rughe e la corazza nell’animo, più bischeri e più fragili degli uomini di terra; sempre in balìa dei loro stati d’animo che li portano a cadere tra le spire delle sirene o a infrangersi tra gli scogli se il faro li tradisce. Ma difficilmente un faro manca all’appello…è più facile che l’animo umano sia cieco al segnale di salvezza che lui manda, mentre al contrario chi si fa irretire dalle donne caudate ci sente fin troppo…tanto che Ulisse, gran furbacchione, si fa legare ma…. ascolta, mentre obbliga i suoi compagni a tapparsi le orecchie.

Perché certi richiami vanno bene solo per chi ha il coraggio di sopportarne pure l’assenza, dopo, quando non ne rimane che il suono, struggente, in forma di eco.

 

(Il magnifico scatto è nuovamente di Iole Carollo!)


Ale
Che dire, se negli anni ’70, d’estate, qualcuno vedeva una bimba solitaria con cappellino marinaro seduta sul bordo di un vecchio pontile di legno presso l’Arenella di Portovenere, con una lenza in mano, ero io. Non ricordo quando ho cominciato, ma a 7 anni per certo inseguivo babbo sott’acqua, lui a pesca col fucile, io dietro col retino imperterritamente convinta di riuscirvi anche così. Ormai è storia (vecchia) che in assenza di lenza e retino mi arrangiavo pescando piccole bavose di scoglio anche col sacchetto del bondì, doverosamente divorato prima. Per molti anni ho rilasciato tutte le prede, poi sono diventata ‘cattiva’ quando le dimensioni loro e mie sono aumentate. Ho avuto pochi ma magnifici maestri, che, bontà loro, mi portano appresso: pare io porti bene. Prediligo la pesca col vivo in mare, a bolentino traina e scarroccio; per poco (anno con ghiaccio sottile) mi è sfuggita la pesca nei laghi del Nord, ma ‘ce l’ho qui’...devo ritentare. Non amo descrivere tecniche (che lascio agli esperti) ma sensazioni. Per il resto sono archeologa.

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