Inferno – Vita da acciughe

acciughe

“Eccole lì, lì davanti”

“Dove? Non vedo!”

“Lì, lì, li dove ci sono i gabbiani. Sono lì sotto”

“Ma come fai a dirlo? Non si vede niente, a parte quegli odiosi pennuti starnazzanti”

Decine, peraltro, tutti posati in dieci metri quadrati intenti a rubarsi a vicenda la posizione migliore.

“Ci sono, ci sono, vai tranquilla che ci sono. Quando fanno così il motivo c’è, ed è sempre il solito”

Lei prepara il guadino senza bisogno di chiederlo, perchè sotto sotto lo sa e ne è pienamente convinta, è ormai esperta ma rimane scaramantica.

Chiamare “guadino” l’attrezzo che estrae è un eufemismo, riuscirebbe a contenere comodamente un marlin.

“Adesso li faccio alzare e vedrai che…”

Punto verso i pennuti con la barca e mi produco nel pluripremiato metodo “Colangiuli” (All Rights Reserved) per allontanarli, ovvero…imito un pennuto più grande di loro, per verso e movenze.

Loro, non so se irritati o divertiti, comunque se ne vanno. Funziona.

Passano lunghi secondi, una stilla di dubbio si insinua. Stai a vedere che stavolta stavano banchettando a Campari e noccioline.

“Eccola”

La vede prima lei. Ma solo perchè io mi distraggo a preparare la canna per un lancio esplorativo… (scusa buona, e sempre efficace).

4 secondi di volo, 2 secondi scarsi in acqua e l’esca si “impiglia” in un bel pesce, tombarello, pieno di forze ed energia. Sono ancora piccolini però, ben lontani dalle belve da 2 kg (e oltre) a cui siamo abituati da queste parti e che ultimamente sembrano preferire il capoluogo.

Il recupero avviene distrattamente, nel frattempo sto continuando a guidare con l’anca a 2/3 nodi per avvicinarmi all’epicentro. Che sta cominciando a manifestare una certa impazienza.

Il branco di acciughe, o per essere più precisi, la punta dell’iceberg, affiora in superficie sempre più insidiato da dei siluri blu non identificati. Per sopravvivere, e non sarà facile, il gruppo mantiene una straordinaria posizione difensiva chiusa a riccio, la “palla”, che nei casi di mangianza più efferata emerge fino a “rotolare” sulla superficie del mare.

E solitamente in autunno le mangianze sono tutte efferate, questa non fa ovviamente eccezione.

“Vado?” Da prua si denota una certa impazienza.

“Aspetta”

La palla di acciughe non ha la forza di spostarsi, nè probabilmente la volontà. Quello strano oggetto insidioso che si sta avvicinando dall’alto può garantire un pò di riparo, e comunque è sicuramente meglio di quello che c’è sotto e di quello che c’era sopra fino a qualche secondo prima. Per loro si passa tra brace, griglia e padella.

Noi mettiamo solitamente la terza.

Mi porto nella posizione che giudico migliore. “VAI”

Il motore in folle, l’abbrivio su mare calmo garantisce la spinta adeguata, il guadino cala in acqua e pochi secondi dopo la scintillante punta dell’iceberg è avvolta da una rete nera.

“Non le ho prese proprio tutte, ce ne sono altre fuori”

“Meno male!”, e non posso fare a meno di ridere. Alzare il guadino dall’acqua è già complicato così.

Le altre acciughe fuori non gradiscono l’esclusione. Si accalcano attorno al guadino chiedendo a gran voce di entrare, anche con la testa fuori dall’acqua. Evidentemente la nostra padella è per loro di gran lunga la soluzione migliore tra quelle prospettate. Qualcuna viene accontentata e salpata tranquillamente a mano.

Decidiamo allora di prenderne un po’ dal guadino, posizionandole in due cassette di polistirolo sapientemente e previdentemente recuperate a mare (MA PERCHE’ NON VE LE PORTATE A CASA, RUMENTONI?!), e leghiamo il guadino con il resto del branco fuori bordo, pienamente vivo e vitale, per mantenere in frenesia i pesci.

Non che ne abbiano bisogno, l’intera barca è letteralmente avvolta dalle acciughe, che si rifugiano tra il motore e lo scafo, premono contro il guadino, addirittura spingono contro i tappi che serrano gli ombrinali.

Non ho ancora capito se volessero affondarci o entrarci in pozzetto.

E sotto un mare sterminato di frecce blu, azzurre, dalle mille tonalità. Ogni acciuga che si allontani per più di 1 metro dalla barca viene sistematicamente eliminata da siluri sbucati dal nulla.

“Che vita d’inferno”

Difficile pensarla diversamente.

 

Tralasciamo la pesca, e ci dedichiamo a girare qualche filmato subacqueo con la nostra GoPro, perchè ne valeva veramente la pena… Ma potete giudicarlo voi, guardando il video qui sotto.

Le acciughe hanno tentato di entrare addirittura nella telecamera, riuscendo in qualche caso a frapporsi tra la stessa e la mano, obbligandoci a buttarle dentro il guadino. Da non credere.

 

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Due ore dopo circa, al calare del buio, liberiamo il branco dal guadino e ci allontaniamo lentamente, sperando riescano a sopravvivere almeno alla nottata.

La cosa più sconcertante è pensare che questa scena è solo una delle migliaia, milioni di analoghe che, anche in questo istante, si stanno compiendo un pò ovunque nel Mediterraneo.

E loro sono lì, e saranno ancora lì l’anno prossimo e quelli successivi, a vivere come possono la loro personalissima vita d’inferno.

Tra brace, griglia e…padella.

Inge
Ingegnere nautico (da cui il nick) con la passione della pesca, nasce a La Spezia nell'ormai lontano 1985. Inizia a pescare ancor prima di camminare, seguendo le orme degli illustri familiari, abilissimi pescatori di orate con lenza a mano e metodo tradizionale. Dopo anni di gloriosi insuccessi, passa inspiegabilmente alla pesca con gli artificiali, ed in particolare alla traina costiera e allo spinning sulle mangianze, di cui si innamora. Ne deriva uno smodato sentimento di amore-odio per i gabbiani, e una vista assai acuta, nonostante gli occhiali, per individuare i più piccoli cenni di mangianza da La Spezia a Capo Corso. Da qualche anno si è avvicinato, nel periodo invernale, alla pesca dei cefalopodi da Riva, con stranamente buoni risultati. Pescatore molto tecnico, detiene nel team anche il primato di pesca alle acciughe e alle aguglie con le mani, di cui è molto orgoglioso... Si può considerare il "tattico" del team, vista la sua passione per la tecnologia (dorme con il GPS) e meteorologia.

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