Ebenezer Scrooge, storia del pescatore avaro

Ci sono tanti modi di essere avari.

C’era una volta un pescatore che aveva come caratteristica l’incapacità di regalare se stesso.

Direte: “e perché mai doveva ‘regalarsi’?” Domanda sacrosanta. Diciamo perché tra le leggi umane non scritte è norma regalare parte di se alle persone che si/ci amano o che, sempre di norma, si crede sia spontaneo amare.
 

Ebbene questo pescatore, sempre chiuso nel suo malanimo, passava le giornate mandando a quel paese l’’universomondo’, e maledicendo tutti.  Aveva figli, aveva nipoti, aveva la sua ‘pescatrice’. Eppure niente sembrava mai abbastanza. I figli lo amavano…i nipoti lo veneravano … la pescatrice lo adorava, ma…. niente.  Il vecchio pescatore amava solo se stesso e tutto ciò che riguardava la sua persona.
 

Il tempo! Era il tempo di se che non sapeva regalare. Lui, come fosse l’unica persona al mondo ad avere incombenze e problemi, non riusciva a regalare più di un’ora del suo tempo a chi gli voleva bene.

Ad esser sinceri riusciva ad elargire anche un giorno in un anno se quel giorno non durava 24h complete.
 

E così dopo aver svolto i ruoli base: preso in braccio la nipotina, portato alle giostre il nipotino…..di nuovo e il prima possibile si dileguava per mari lontani.

Ogni volta tornava pieno di pesci perché l’unica cosa che non temeva era regalare parte di ciò che fisicamente aveva agli altri. Vuoi per dimostrare di saper provvedere a tutto: “mi assento perché procuro ‘cibo’”, vuoi per orgoglio personale. Fatto sta che appena passata l’euforia per i mille pesci fantastici versati sul tavolo…. ecco di nuovo assalirlo la smania, e vederlo partire era questione di un attimo; ovviamente sempre con qualche pessima scusa, perché è anche vero che nella sua avarizia non lesinava motivazioni di ogni tipo per giustificare ogni partenza: ‘sono anziano e ho bisogno di andare in posti caldi’…..’un caro amico è naufragato in acque malesi e solo io posso soccorrerlo’…..

Inutile dire che, forzatamente, il senso di dolore e vuoto che lasciava si incancrenì nei cuori delle persone in un ‘va bene, che porti almeno i pesci’.
 

Un novello Ulisse? No purtroppo. Ulisse pur di tornare tornava anche da solo, ma partiva coi compagni. Partiva ad esplorare il mondo per l’uomo, per regalare all’uomo nuove avventure e nuove mete prima sconosciute. Motore primigenio. Fallace, pure menzognero, ma mai fine a se stesso.

Il pescatore avaro solcava i mari solo per se. E ogni avventura eventualmente vissuta la teneva quindi gelosamente dentro. Portava il pesce senza raccontare a nessuno come e dove l’aveva preso. Non custodiva immagini di avventure e luoghi da lasciare almeno ai nipoti, così come non lasciava parole che dessero, a chi lo amava, almeno un senso a quel partire.  Andava, punto. Andava perché aveva bisogno di andare e di non fermarsi. Andava anche se gli altri non potevano andare con lui, anche se i doveri e le incombenze degli altri li trattenevano; ma per lui era diverso: le sue, di incombenze, il suo ‘gran da fare’, finivano magicamente appena subentrava il desiderio di andarsene. E così tutto ciò che gli aveva impedito di stare accanto ai suoi cari mentre era presente, scompariva con loro nel momento in cui voleva partire.
 

Il pescatore teneva per se anche tutto ciò che aveva dentro il cuore, ed era un peccato perché il suo cuore era comprensibilmente grande e pieno di risorse così come il suo cervello ma, ahilui…. era l’anima che gli mancava. E così scaricava i sensi di colpa e la mancanza di se scaricando pesci per alleggerire il peso.

 
Ovvio….il pescatore avaro aveva sofferto, e molto.

Ma basta la sofferenza per far soffrire gli altri? E’ giustificabile un assassino che ripete gli orrori che ha a sua volta subito? O interviene il libero arbitrio a svegliare mente e animo?

Per Ebenezer Scrooge interveniva lo spirito dei natali passati, beato lui, per farlo ravvedere in tempo.

 

Ma qui è la vita reale, spietata, senza lieto fine. Per cui spero solo che al nostro pescatore cali un po’ di buon senso in zucca e comprenda in tempo, per tutti i suoi cari, che arriva un momento in cui forzatamente si fanno i conti con la propria vita, ed è meglio aver voglia di abbracciare chi ci ama quando si ha ancora la forza nelle braccia per farlo. E i pesci….beh  la loro moltiplicazione è meglio lasciarla a chi lo fa di mestiere.

Buon Natale vecchio stupido brontolone.

E buon anno a venire a tutti i pescatori, ricordando loro di regalare sempre, insieme ai pesci, un pezzettino di se 😉

 

Ale
Che dire, se negli anni ’70, d’estate, qualcuno vedeva una bimba solitaria con cappellino marinaro seduta sul bordo di un vecchio pontile di legno presso l’Arenella di Portovenere, con una lenza in mano, ero io. Non ricordo quando ho cominciato, ma a 7 anni per certo inseguivo babbo sott’acqua, lui a pesca col fucile, io dietro col retino imperterritamente convinta di riuscirvi anche così. Ormai è storia (vecchia) che in assenza di lenza e retino mi arrangiavo pescando piccole bavose di scoglio anche col sacchetto del bondì, doverosamente divorato prima. Per molti anni ho rilasciato tutte le prede, poi sono diventata ‘cattiva’ quando le dimensioni loro e mie sono aumentate. Ho avuto pochi ma magnifici maestri, che, bontà loro, mi portano appresso: pare io porti bene. Prediligo la pesca col vivo in mare, a bolentino traina e scarroccio; per poco (anno con ghiaccio sottile) mi è sfuggita la pesca nei laghi del Nord, ma ‘ce l’ho qui’...devo ritentare. Non amo descrivere tecniche (che lascio agli esperti) ma sensazioni. Per il resto sono archeologa.

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